21 aprile 1960: il Natale di Brasilia
Brasilia, una delle metropoli mondiali più giovani, diventa la nuova capitale del Brasile (sostituendo così Rio de Janeiro) il 21 aprile 1960, esattamente 61 anni fa.
Brasilia si presenta come un’eccezione urbanistica nel territorio brasiliano. Se fino alla fine degli anni 60’ le principali città brasiliane nacquero come punti di approdo di beni, servizi e persone, ma senza un’urbanizzazione studiata e logica, a partire dal 1959-1960 il presidente brasiliano Juscelino Kubitschek decise di incentivare uno studiato progetto urbanistico sul territorio, grazie alla progettazione e edificazione di nuove città. Sono gli anni di fondazione di città artificiali come Brasilia o Belo Horizonte.

Già a partire dalla fine del XIX secolo, con la proclamazione della Repubblica, iniziò a diffondersi l’idea che fosse necessario riorganizzare l’immensità brasiliana del sertão (l’entroterra brasiliano) in una nuova capitale, Brasilia, che perseguisse questa intenzione propria dalla sua progettazione. Tali progetti verranno ripresi negli anni 50 con Juscelino Kubitschek, che rimase nella storia come figura di presidente decisionista.
Il progetto di Juscelino era quella di costruire una città artificiale, che desse l’immagine di contemporaneità moderna. Il progetto fu affidato dallo stesso Kubitschek al pianificatore urbanistico Lúcio Costa, all’architetto Oscar Niemeyer, che progettò buona parte degli edifici urbani e al disegnatore di paesaggio Roberto Burle Marx.
Il progetto di Brasilia, prima che urbanistico, voleva essere un progetto dal valore politico e sociale. La fondazione della nuova città voleva rappresentare simbolicamente l’immagine di un Brasile integrato nella sua grandezza spaziale, dall’interno alla zona costiera (sebbene la storia ci dica che la nuova città comportò ben pochi cambiamenti demografici e nell’assetto economico del Brasile). Non a caso, come sito per la nuova capitale, si scelse una posizione centrale rispetto al territorio nazionale, dando così un valore simbolico di maggior neutralità della città, rispetto alle varie regioni.

L’idea urbanistica di base era creare una struttura geometrica. Si progetta una croce, simbolo del Brasile cristiano, che a sua volta rappresentasse anche un aereo pronto a decollare, simbolo, invece, di modernità. Il tutto doveva ricorda l’immagine di un arco indigeno, come emblema del recupero dell’arcaico.
Un evento storico, politico, sociale, economico e culturale di tale portata non poteva non stimolare le penne degli scrittori e intellettuali dell’epoca. Due in particolari meritano attenzione…e non sono due nomi qualunque: João Guimarães Rosa e Clarice Lispector.

Guimarães Rosa parla di Brasilia, non parlandone, ma sempre alludendo celatamente alla nuova capitale. Nel racconto di formazione “Os cimos”, tramite uno dei suoi classici personaggi-simbolo, un bambino e la sua crescita personale, Rosa vuole dare la sua opinione su Brasilia, città che vuole rappresentare simbolicamente il superamento di una condizione di fanciullezza del Brasile che si apre così alla maturità.
In tal senso, un altro testo interessante dell’autore di “Grande Sertão: veredas” è “Soroco, sua mãe, sua filha” in cui lo spirito di partecipazione di una comunità, che si raccoglie intorno al dolore di Soroco dopo la perdita della sua famiglia, rimanda simbolicamente all’idea di Brasilia come la nuova città che è stata progettata per ricostruire l’identità collettiva brasiliana proprio attraverso la partecipazione.
In modo sicuramente più diretto, Clarice Lispector, una delle voci più interessanti della letteratura brasiliana di tutti i tempi, nella sua seconda raccolta di crónicas “Para não esquecer” dedica due racconti alla nuova città artificiale. Clarice dipinge Brasilia come l’immagine archetipica della città, artificiosa e dispersa, paragonabile all’origine del mondo. Per Clarice Brasilia è un nuovo mondo, in cui gli abitanti devono essere battezzati come brasiliari (abitanti di Brasilia).
Evidente anche nel progetto urbanistico che unisce arcaico e moderno, Clarice nelle sue crónicas gioca con una temporalità dissonante, che si muove tra antichità e progresso, una dimensione orientata sempre verso due anime che entrano in relazione tra loro. Due tempi che Clarice descrive così
Olho Brasília como olho Roma: Brasília começou com uma simplificação final de ruínas.
Con la maestria di linguaggio che la contraddistingue, Clarice ci descrive Brasilia attraverso due immagini. Partiamo dalla seconda…quella di Brasilia come di una città che nasce al di là, al di sopra delle rovine, come una “semplificazione di rovine”. Così Clarice dice di guardare Brasilia come guarda Roma. E non a caso, Juscelino Kubitschek fece il possibile per velocizzare i tempi di edificazione di Brasilia (anche a discapito di molti operari che trovarono la morte sotto i mattoni della nuova città). Brasilia fu costruita in 41 mesi, dal 1956 al 21 aprile 1960, giorno della sua inaugurazione nonché il Natale di Roma, data simbolica che viene scelta non a caso per la nuova capitale.