Consigli letterari di novembre

La ricerca di Pedro Páramo, un morto tra i viventi?

Come ogni mese Lusofilia vi consiglia una lettura…per novembre vi proponiamo un testo che può, in un’epoca pandemica come quella che stiamo vivendo, farci riflettere…

Il romanzo Pedro Páramo scritto da Juan Rulfo (1918-1986), scrittore messicano e vincitore nel 1983 del premio letterario spagnolo Príncipe de Asturias, riprende nella narrazione il famoso topos del figlio che va alla ricerca di un padre mai conosciuto.

Juan Preciado, il protagonista, dopo un viaggio che avrebbe dovuto riportarlo al paese di origine, Comala, si ritrova in una terra condannata a morire dal proprio patriarca, il padre e latifondista Pedro Páramo. Il carattere sanguigno, l’avidità e la capacità di consumare ogni cosa, di sottomettere chiunque, non può sottrarre Pedro Páramo alla morte, nonostante i tentativi di garantirsi, attraverso le prevaricazioni ai danni del prossimo, una specie di eternità.

Juan Rulfo

Pedro Páramo nasce col regime autoritario di Porfirio Díaz (1876-1911): è un ragazzino malinconico, che passa il tempo a sognare la bambina di cui è morbosamente innamorato, Susana San Juan. Un giorno gli ammazzano il padre, uno dei maggiorenti del paese, a fucilate.

Raggiunta la maggiore età Pedro regola i suoi conti sulla base dell’unica legge che ha appreso: la violenza. Quando scoppia la rivoluzione di Villa e Zapata (1910-1917) corrompe i contadini insorti, e a ogni cambio di vento si schiera con la fazione vincente.

La morte di suo figlio Miguel peggiorerà il suo animo frustrato e violento tanto da portarlo a vendicarsi sul paese intero, affamandolo. Comala si configura come un microcosmo in cui lo scrittore Rulfo sintetizza l’abbandono, la delusione dei contadini messicani, eterni, condannati della Terra. Lo stesso Pedro diverrà un condannato della terra tanto da «sgretolarsi come se fosse un mucchio di pietre» e rimanere legato così nel luogo che lui stesso, con le sue azioni di prevaricazione, aveva portato a identificarsi come «la bocca dell’inferno».

Il racconto può apparire molto semplice ad una superficiale lettura della trama. In realtà si tratta di un testo piuttosto complesso che va ad analizzare le parole degli abitanti di Comala e anche la struttura non è per nulla lineare, con salti temporali che rendono una lettura non cronologica. I racconti appaiono come un flusso di coscienza da parte di anime che si immedesimano con la situazione stessa del paese apparendo come morti che camminano in un luogo desolato e abbandonato a sé stesso.

Interessante da questo punto di vista è stata la scelta del titolo. In un primo momento, infatti, il testo doveva essere pubblicato con il titolo “Los murmullos” che riprendeva le voci che Juan Pedro ascoltava dagli abitanti del paese fantasma, di una terra bruciata ed arida e da cui Juan apprendeva la storia non solo di suo padre, ma della patria, del Messico intero.

ll romanzo si costituisce di settanta frammenti, per circa altrettanti personaggi, rappresentanti di tutte le classi, età, generi, etnie. Dopo un po’ Juan non distingue più se a parlargli è un vivo o un morto; egli stesso, a metà del romanzo, muore – «Mi hanno ucciso i mormorii» – e la narrazione che aveva cominciato in prima persona si conclude in terza: l’individuo si dissolve nella comunità.

di Roberta Gasbarrone

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