La figura di Cristoforo Colombo negli ultimi anni è stata al centro di un acceso dibattito che non lascia pace al navigatore italiano nato a Genova nel 1451.
È da questa controversia che nasce il diverbio tra chi considera tale figura come quella di un invasore e chi, invece, lo considera come un conquistatore. Come comprendere, quindi, il ruolo più esatto da attribuirgli?
Prima di cercare una possibile risposta, ripercorriamo la storia della scoperta dell’America.
È il 12 ottobre 1492 la data che segna la scoperta del Nuovo Mondo e con essa la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età Moderna.
Colombo, in un periodo in cui iniziavano le nuove navigazioni da parte delle grandi potenze quali la Spagna e il Portogallo, decide di mettere in pratica le sue doti di esploratore acquisite tramite una previa formazione spinta dal suo interesse per la navigazione fin dalla tenera età.
Se in quell’epoca domina la credenza che la Terra sia piatta, la paura che domina Colombo è quella per il mare Oceano (l’Oceano Atlantico), una distesa d’acqua infinita che si credeva fosse abitata da mostri marini e in cui accadessero catastrofici fenomeni naturali. Tuttavia, la conoscenza di Colombo delle cartine geografiche, la sua curiosità per le zone di mare aperto ancora inesplorato e la sua opera di evangelizzazione sono ciò che darà vita a una delle scoperte più significative di sempre.
Così, il 3 agosto 1492 Cristoforo Colombo salpa dal porto di Palos con le tre caravelle la Niña, la Pinta e la Santa Maria, una spedizione finanziata dalla regina Isabella di Castiglia dopo un primo rifiuto del sostentamento economico da parte della stessa, e precedentemente da parte del re di Portogallo Giovanni II.
La convinzione di Colombo nel voler intraprendere un viaggio per raggiungere l’Asia per mare, evitando gli scomodi viaggi via terra sottoposti a dazi molto pesante, lo porta a intraprendere un viaggio molto più lungo di quanto avesse programmato tanto da fargli sorgere il dubbio di tornare indietro. Dopo trentasei giorni di traversata, la costa di San Salvador viene avvistata, dove sbarcano così le tre caravelle.
La vegetazione, il territorio e gli indios che Colombo e gli altri esploratori trovano, non corrispondono alle attese Indie e, dopo aver intrapreso numerosi viaggi nelle isole circostanti per dimostrare che in realtà fossero giunti nel Cipango (Giappone), devono arrendersi a una realtà che non corrisponde all’Asia e che si rivela fallimentare in quanto non vi troverà le ricchezze e le spezie che tanto aveva vantato, venendo così accusato al suo ritorno in Europa dove muore a Valladolid nel 1506, finendo nel dimenticatoio.
Solo in seguito gli verrà riconosciuta la fama che gli spetta, dove il suo coraggio e la sua ostinazione per la sua impresa aprono una strada che nei secoli successivi porta alla colonizzazione del Nuovo Mondo.
E’ a questo che si lega al tempo stesso il lato oscuro di Colombo.
Sebbene da tempo la sua impresa venga celebrata in tutto l’Occidente (chiamata Columbus Day negli USA), non si possono non considerare la durezza e la crudeltà esercitata nei confronti dei nativi schiavizzati, torturati e uccisi.
Dagli stessi scritti di Colombo, infatti, emerge come i nativi fossero considerati poco più che bestie e si stima che nei suoi viaggi rapì circa 600 persone, dando così inizio alla sanguinosa fase del colonialismo europeo che spazzò via i nativi americani.
Molti lo condannano per quel genocidio, altri lo esaltano per essere entrato in contatto con un ambiente selvaggio da civilizzare. La colpa che si potrebbe attribuire a Colombo risiede nell’essere stato il primo a considerare gli indigeni non al pari degli europei.
Tuttavia, le motivazioni di questo pensiero sembrano essere di natura culturale e religiosa: gli indigeni sono nudi, parlano una lingua incomprensibile e non sono citati nella Bibbia. Ne consegue, quindi, come la mente di Colombo, figlio del Medioevo, non fosse in grado di concepire il diverso, nonchè una realtà mai vista e sentita prima di all’ora.
Alla luce di queste considerazioni, risulta difficile giungere a una conclusione definitiva.
Pare, piuttosto, che la figura dell’invasore e del conquistatore si presentino come due facce della stessa medaglia, dove il contesto storico e culturale proprio di quegli anni non può essere considerato a sé stante.
di Irene della Siega