Per il mese di febbraio Lusofilia consiglia….Laços de familia de Clarice Lispector (in traduzione italiana Legami Familiari)
Addentriamoci all’interno di questa raccolta di racconti.
Laços de familia: un risveglio dalla banalità quotidiana e dalle prigioni famigliari
Partiamo dalla storia editoriale. L’opera fu pubblicata nel 1960 come una selezione di racconti e vinse il Premio Jabuti. Sei dei tredici racconti che compongono l’opera erano stati pubblicati precedentemente (nel 1952) in un volume che non ebbe molto successo. Nel 1955, altri quattro sono stati aggiunti nella sua ultima collezione.
Gesti, discorsi e abitudini familiari vengono pian piano disintegrati nel testo Laços de familia di Clarice Lispector che tenta di rompere tutto ciò che si definisce come tipica famiglia, con i suoi discorsi convenzionali e piccoli conflitti quotidiani.
Il titolo ci rimanda chiaramente a cosa vuole mettere in luce l’autrice, ma nella traduzione italiana si è persa l’ambivalenza del portoghese “laços” traducibile sia come legame che laccio, se non addirittura cappio.
In Laços de Família, questioni apparentemente semplici si riflettono in modo profondo. La maggior parte dei personaggi analizza la propria vita, portando a un’epifania che rompe con la monotonia e le imposizioni sociali che subiscono. L’autrice scava a fondo nella mente delle protagoniste mostrandone la dimensione psicologica.
I personaggi e la loro dimensione psicologica
I personaggi creati dall’autrice sono persone comuni, schiacciate dalla banalità comune dell’esistenza, ma che cercano la liberazione. È in questo processo di liberazione che troviamo la massima epifania che appare proprio nella fusione dell’Io e del mondo, rappresentata attraverso la rottura della monotonia quotidiana, da un istante di illuminazione improvvisa nella coscienza del personaggio.
La famiglia, però, sembra schiavizzare l’individuo, rendendogli impossibile sperimentare al massimo questo stato di estasi. Le famiglie della Lispector sono delle prigioni nelle quali e dalle quali non ci si slega, salvo buttarsi a capofitto nelle profondità della propria anima per cercarvi rifugio e spiegazioni ma dove, per contrasto, osservandosi spietatamente, si avverte ancora di più la desolazione.
A poco a poco si trovano soffocati dal contesto familiare e sociale come il matrimonio e la maternità ed è proprio la figura femminile che si carica di un ruolo da assumere di fronte ad una società che si muove secondo regole prestabilite. È proprio l’elemento che si discosta da queste regole, anche se minimamente, che crea una rottura mettendo in crisi la quotidianità.
Scrittura e tecniche della generazione del ’45
Laços de família appartiene alla terza generazione del Modernismo brasiliano, più precisamente al Neomodernismo, o Generazione del ’45. Se ne riconoscono le caratteristiche più importanti quali: l’uso del flusso di coscienza (il narratore lascia scorrere liberamente i suoi pensieri); indagine psicologica (analisi profonda degli stati d’animo dei personaggi); uso del monologo interiore (discorso introspettivo del personaggio tra sé e sé); ricerca linguistica (abolizione delle costruzioni sintattiche tradizionali e della punteggiatura); uso del metalinguaggio; annullamento dei limiti spazio-temporali; posizione anti-convenzionale.
Un altro aspetto innovativo che fa la differenza nell’opera Laços de Família è la sua visione del mondo che appare all’interno delle storie. Anche se ha iniziato la sua carriera di scrittrice in un’epoca in cui i romanzieri brasiliani erano concentrati sulla letteratura regionale e/o sulla denuncia sociale, Clarice si concentra nei suoi testi su un essere umano che contiene angoscia e certi interrogativi che fanno parte del suo presente. All’interno delle sue narrazioni, alla trama, così come ai personaggi, al tempo e allo spazio vengono dati nuovi significati.
Ciò si riflette nella trama di stampo sempre psicologico e in cui il tempo e lo spazio non hanno molta influenza sul comportamento dei personaggi. Pertanto, il tempo è psicologico e quindi quello che creano le azioni e i pensieri dei personaggi, e lo spazio è quasi accidentale così come lo sono gli avvenimenti improvvisi che “squarciano” la banalità quotidiana.
Quest’ultimo aspetto lo analizziamo prendendo ad esempio due racconti: Uma galinha e Amor.
Uma Galinha (Clicca qua per leggerlo)
Nel racconto ciò che accade coinvolge l’intera famiglia e non solo un personaggio e la sua dimensione psicologica. È il testo più breve della raccolta in cui si racconta una storia semplice e spensierata sulla routine domenicale che prevede l’uccisione di una gallina per pranzo.
Questa volta, però, il piatto principale decide di scappare e in voli goffi raggiunge il tetto del vicino. Il marito e capofamiglia si lancia all’inseguimento della gallina. Dopo essere stata riportata in cucina, ha deposto, nella foga del momento, un uovo. Commossa, la figlia della famiglia ha chiamato gli altri, che hanno condiviso lo stesso sentimento e hanno deciso di tenerlo come animale domestico. Tuttavia, una gallina è una gallina, non si può cambiare la natura e verrà quindi uccisa e mangiata.
L’animale torna ad essere quindi un qualsiasi essere vivente che si può sacrificare e di nessuna importanza. Questa immagine trova un’analogia con la figura femminile che è stata condannata ad una dominazione maschile. Una dominazione che non è solo fisica – come la gallina catturata e palpata con indifferenza – ma anche una dominazione simbolica, in cui l’uccisione e l’insignificanza dell’animale possiamo vedere riflessa in molte altre donne. La decisione di sacrificare l’animale va di pari passo con la sua utilità, perché finché procrea la maternità è apprezzata. Dopo di che, quale altro uso avrebbe la gallina se non il pranzo?
E così la gallina è, simbolicamente, la madre e la bambina stessa che un giorno, come la futura vita che uscirà dall’uovo, non avrà altro ruolo se non quello imposto dalla società e oltre il quale la sua esistenza non avrà alcun significato. Un’altra osservazione pertinente è il fatto che nessun personaggio ha un nome, il che sottolinea che questa non è una storia specifica di una famiglia. Qualsiasi uomo, donna o bambina (soprattutto ragazza), può essere visto attraverso il racconto. C’è una generalizzazione che provoca il lettore a mettersi al posto dei personaggi, secondo le sue conoscenze di vita, le sue esperienze e i suoi vissuti.
Ancora, è possibile interpretare il ruolo degli uomini e delle donne nella società in passaggi come: “não era vitoriosa como o galo”, “contava consigo como o galo crê em sua crista“. Questa relazione di opposizione che il narratore porta nel testo provoca il lettore a pensare alla differenza tra uomo e donna. Nel racconto, la gallina finisce per morire e la sua lotta cade nell’oblio. Ma la gallina depone l’uovo. La femmina dà la vita. Allo stesso tempo che si può comprendere la critica alla società patriarcale, si può anche vedere il segno simbolico della speranza, che, come l’uovo e la bambina, nella sua innocenza e senso di giustizia, dice loro di fermarsi “Mamãe, mamãe, não mate mais a galinha, ela pôs um ovo! ela quer o nosso bem!”
Amor (Clicca qua per leggerlo)
Quando Ana vede il cieco che mastica una gomma la pietà che la coglie è incontrollabile. Una pietà che ripudia la mancanza di pietà in cui vive giorno per giorno, come se non esistesse una società povera ed esclusa. Guardava quell’uomo come se l’avesse insultata, perché la sua sola esistenza disturbava la sua pace alienata, perché la metteva di fronte alla durezza della vita, alla cruda realtà.
Anche se ha visto l’uomo solo per un momento, “o mal estava feito“, “o mundo se tornara de novo um mal-estar”, mandando in frantumi la cupola di vetro in cui Ana aveva vissuto dal suo matrimonio e ora non era più protetta. La visione del cieco che mastica una gomma al buio, meccanicamente, ripetitivamente, senza poter vedere ciò che lo circonda, sembra essere una metafora del modo in cui Ana viveva. Come se avesse gli occhi chiusi, ripeteva la sua routine giorno dopo giorno, senza vedere ciò che esisteva oltre le mura di casa sua. Forse perché si vede in quell’uomo, Ana sovverte la sua routine.
Per qualche tempo, è tentata di cambiare la sua vita, abbandonare tutto e andare nel mondo, esplorare l’ignoto. Ma è l’amore, il titolo della storia, che guida questa donna. Per amore di suo marito e dei suoi figli si dedica interamente a compiacerli e a curarli al punto da dimenticare l’epifania che l’aveva travolta ore prima e la volontà di vivere altre vite, di sperimentare altri modi di vedere il mondo.
Nell’orto botanico, dove era stata guidata dal cieco, sempre senza saperlo, si abbandona poi al delirio e alla vertigine delle sensazioni che emergono e che sono impossibili da contenere. In questo racconto, il cieco è il mediatore tra la vita quotidiana e l’avventura della scoperta, il rivelatore dell’intimità latente dei suoi sentimenti. La routine e la riflessione sul cieco vengono improvvisamente sopresi dalla brusca frenata del tram che fa cadere e rompere le uova di Ana.
Questa rottura annulla anche il tenue involucro che la proteggeva dal vivere emozioni reali, la mette in contatto con un mondo crudo. Così come in tutti i racconti della raccolta, anche e in special modo in Amor, il finale non rappresenta una vera e propria conclusione.
Al contrario Ana torna, alla fine sella sua giornata, al punto iniziale e alla sua quotidianità costruita su un “apartamento que estavam aos poucos pagando”, sul marito che arrivava sempre “sorrindo de fome” e sui figli che “Cresciam, tomavam banho, exigiam para si, malcriados, instantes cada vez mais completos.”.
di Roberta Gasbarrone