La rubrica musicale di Lusofilia: Cesária Évora, diva a piedi nudi e regina della morna

Io sono nata per cantare. La morna mi ha preso, che cosa posso volere di più?”

Questo diceva di sé Cesária Évora, la voce di Capo Verde che cantava a piedi scalzi come atto politico contro il colonizzatore portoghese.

Ai tempi dei coloni, infatti, a chi non aveva le scarpe non era permesso camminare a piedi nudi, soprattutto nei posti frequentati dagli altolocati; i neri poveri dovevano camminare su una parte del selciato, in una sorta di apartheid, mentre gli altri potevano camminare sui marciapiedi.

La vita di Cesária è disseminata di difficoltà e ristrettezze, ma resiliente e guidata da una voce rappresentativa, dal timbro unico, che prima di diventare famosa in tutto il mondo solo in tarda età, era estremamente connessa alle strade e ai bar di Mindelo, quindi al popolo dell’Isola di Sao Vicente, la gente per cui sempre ha voluto cantare.

Tra i vari appellativi di Cesária, detta Cize, c’è anche “Regina della morna”.

La morna è un genere capoverdiano, una musica che si dice dell’aconghego, ossia dell’abbraccio che culla un neonato e che ha a che fare con la tenerezza, la dolcezza e la tristezza fino alle lacrime. E’ una musica viaggiante che parte da un’origine in comune con il fado portoghese e la samba brasiliana, una sorta di fado tropicale o di blues filosofico che però risulta privo del senso di fatalismo del fado o del lamento del blues. 

La morna è più vicina al samba, con testi talvolta dall’umorismo pungente e con una vena nostalgica che riflette sull’assenza. 

Si propone qui una breve selezione di brani tra i più rappresentativi interpretati da Cesária Évora: 

Sodade è tra le canzoni che più hanno reso famosa Cesária al di fuori del proprio Paese ed evoca uno degli episodi più dolorosi della storia capoverdiana: la deportazione forzata dei lavoratori verso le isole di Sao Tomé e Principe o verso l’Angola. Come un triste prolungamento della schiavizzazione, dal porto di Mindelo partono le “navi della vergogna” sulle quali i colonialisti portoghesi imbarcano lavoratori per le piantagioni di caffè e di cacao. Il porto è dunque luogo di partenza e allontanamento dalla propria patria a cui si guarda con sodade.

Oltre alle pagine critiche della storia capoverdiana, Cesária ha saputo anche raccontare la parte più gioiosa del suo popolo, amante della danza e della poesia. Dopo aver cantato per le strade, inizia a cantare nei bar di Mindelo, dove conosce musicisti e compositori che scrivono per lei brani come Cize, il suo soprannome, che diventa la sua canzone feticcio.

Mar Azul parla di povertà, di vita dura e di sofferenze vissute e Petit Paysè dedicato a Capo Verde:

In cielo tu sei una stella

che non brilla più

Nel mare sei sabbia

che non bagna

disperso dal mondo

rocce e mare

terra povera piena d’amore

E ancora, su Capo Verde e nello specifico sull’isola di Sao Vicente, Carneval de Sao Vicente è un omaggio all’isola in cui Cesaria nacque e al suo carnevale. 

Il golfo e la baia di Mindelo erano pieni di battelli e le notti erano festose, un passato poi sostituito da partenze e abbandoni volontari o costretti, ma comunque obbligati da situazioni di miseria.

Grazie alla sua musica e a questa diva del popolo è stato possibile conoscere e rendere in qualche modo reale Capo Verde, isola solitaria, intima e arida in contrasto con la forza vitale della sua musica.

di Debora Carlomagno

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