Diario di viaggio dal Mozambico: parte 1

Tete, 06 aprile 2022

La prima cosa che qualsiasi mozambicano dirà di Tete è che questa è la città più calda del Mozambico. E infatti il caldo appiccicoso di un’aria umida e pesante regala un incessante senso di oppressione.

Siamo in una zona strana del Mozambico, non ci sono le spiagge bianche da “Alle falde del Kilimangiaro”, l’acqua turchese e le imbarcazioni dei pescatori che solcano l’acqua in un paesaggio da cartolina: incuneata tra il Malawi, lo Zambia e lo Zimbabwe, la provincia di Tete è una zona interna, periferia dimenticata dai turisti ma dal sottosuolo ricchissimo di minerali e quindi meta di imprese provenienti da svariati angoli del globo.

 Vista del fiume Zambesi dal ponte samora machel

Qui il protagonista indiscusso è il fiume Zambesi, che attraversa maestosamente la provincia e l’omonima città. A Tete ci sono infatti due dei cinque ponti che attraversano il fiume, di cui il più bello è il Ponte Samora Machel, che di fatto costituisce la principale (ma forse direi anche l’unica) attrattiva della città.

Per il resto si tratta di un insieme disordinato di case, che vanno da moderne abitazioni dotate di ogni comfort e hotel con piscina pensati per imprenditori stranieri a piccole e precarie costruzioni di fango e mattoni.

La città si estende disordinata, le case si arrampicano sulle colline e i tetti di lamiera si disperdono all’orizzonte seminascosti dalla vegetazione. Non esiste un vero centro storico, qui 200 anni di colonizzazione non hanno lasciato nulla di bello, esiste però un centro città che si riconosce per gli edifici più alti e solidi e strade sommariamente asfaltate. 

C’è povertà di molti e grande ricchezza di pochi: la società è caratterizzata da profonde differenze e disuguaglianze che si mostrano subito chiare anche ad un occhio poco attento.

Vista del ponte Samora machel

La popolazione locale, salvo eccezioni, si guadagna da vivere lavorando nelle miniere oppure dedicandosi all’agricoltura di sussistenza o al piccolo commercio. Vive in case fatte di fango e mattoni, molto spesso senza energia elettrica, acqua corrente e servizi igienici e si sposta a piedi o con mezzi di trasporto condivisi sempre in condizioni molto precarie.

Lo stipendio medio mensile di un infermiere è di circa 200 euro, tuttavia alcuni beni e alcuni servizi hanno dei prezzi occidentali che risultano proibitivi alla stragrande maggioranza delle persone. Poche persone locali sono molto ricche, generalmente grazie agli affari che ruotano attorno all’industria mineraria del carbone. Ci sono poi tanti stranieri, soprattutto uomini brasiliani e indiani, i colletti bianchi di queste imprese, che conducono delle vite completamente aliene a quelle della popolazione locale.

Io ho la fortuna di viaggiare per lavoro anche in distretti molto lontani della provincia ed entrare in contatto con realtà più isolate e rurali.

Campo dei deslocados sorto in seguito al ciclone Ana che ha colpito la regione a fine gennaio lasciando molte persone senza casa

La bruttezza della città e il suo clima respingente rendono se possibile ancora più sfavillante la bellezza dei distretti periferici, soprattutto delle zone montuose nel nord al confine con il Malawi. Qui il clima è più fresco e il paesaggio è un susseguirsi di rilievi più o meno alti ricoperti da una vegetazione verde brillante, attraversata da una manciata di strade asfaltate e da alcune mulattiere utilizzate dai contadini per inoltrarsi nel mato.

Fatta eccezione per la città, che soffre di un traffico quasi costantemente congestionato, le strade periferiche sono perlopiù deserte, si incontra qualche camion e una o due macchine solitarie. La carreggiata è sempre occupata da una variegata moltitudine di animali, principalmente caprette, mucche, maiali e magri cagnetti, che non accennano minimamente a spostarsi all’arrivo di un’auto. Tipicamente ci si ferma ad aspettare che la capretta stravaccata sull’asfalto tiepido decida di alzarsi e concedere il passaggio.

Solo una percentuale minoritaria delle persone conosce bene la lingua portoghese, mentre si parlano molte lingue locali differenti a seconda del distretto, lingue che conoscono meno i confini politici nazionali e che quindi sconfinano nelle vicine aree di Malawi, Zambia o Zimbabwe. Se da un lato questa grande ricchezza linguistica è esaltante, d’altro canto l’incapacità di molti di dominare il portoghese, spia di un sistema scolastico in alcune zone ancora molto carente, si traduce nell’impossibilità delle persone di poter evadere dal loro stato di povertà e trovare lavori migliori, salari più alti e condizioni di vita dignitose.

Dopo due mesi qui, per me è ancora troppo presto per dire di aver compreso a fondo le dinamiche e le problematiche di questo posto, ogni giorno c’è qualcosa da scoprire e da imparare e questa sensazione di costante novità e stupore è un bellissimo balsamo dopo due anni di pandemia.

di Elena Mazzalai

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