19 marzo: Dia do Índio

In occasione del Dia do Índio vogliamo ripercorrere la storia delle comunità indigene che si sono stabilite in America Latina partendo dall’origine del nome attribuitogli per arrivare, infine, a porre uno sguardo sulle problematiche e i diritti che ancora oggi vengono negati.

Quali sono le origini di questa festività?

Commemorazione voluta nel 1943 dall’allora presidente Getulio Vargas, e da allora il 19 Aprile in tutto il Brasile si festeggia il “Dia do Índio”, la giornata dell’indio, giorno in cui alcune delegazioni indigene decisero di partecipare al Primo Congresso Indigeno Latino Interamericano, avvenuto in Messico nel 1940.

Durante la giornata, gli studenti vengono invitati ad organizzare discussioni sul tema con ricerche e spesso con visite guidate nei musei. Gli stessi indios vengono invitati a partecipare ai dibattiti e a raccontare la storia dal punto di vista di chi l’ha vissuta e continua ancora oggi a viverla.

Chi sono veramente gli antichi abitanti del “Nuovo Continente”? 

Gli antenati dei nativi americani arrivarono nel Nuovo Continente almeno 15.000 anni fa dall’Asia attraverso la Beringia, separandosi poi e creando un’ampia varietà di popolo, società e culture distinte. La colonizzazione europea delle Americhe, iniziata nel 1492, ha provocato un rapido declino della popolazione dei nativi americani a causa di nuove malattie, verso le quali non avevano alcuna immunità, pulizia etnica e schiavitù.

Dopo la sua formazione, l’America, come parte della loro politica coloniale, i Paesi europei hanno continuato a perpetrare massacri nei confronti di molti popoli nativi americani, espropriati dalle loro terre ancestrali, e sottoposti a trattati unilaterali e alle politiche di governo discriminatorie.

Ma qual è il vero nome degli indios?

Fin dal principio, l’identità di questi popoli venne completamente annullata.

Come sappiamo, il nome è il primo segno di riconoscimento di ognuno di noi e loro dovettero riconoscersi in un’identità che non era la propria. Infatti, nel 1492 quando Cristoforo Colombo sbarcò a Guanahani (Bahamas), pensò di essere arrivato nelle Indie dopo essere partito da Puerto de Santa María, in Spagna, alla ricerca di una nuova rotta per l’India attraversando l’oceano.

Da questo momento i nativi del Nuovo Mondo, anche se appartenenti a gruppi ed etnie molto diverse, vennero chiamati indigeni. Fu solo 15 anni dopo che i nuovi colonizzatori scoprirono che queste terre, dove né oro né spezie erano abbondanti, non erano l’India, ma piuttosto un altro continente che chiamarono America.

Il nome corretto delle popolazioni che abitavano il continente prima dell’arrivo di Colombo e dei conquistatori europei è nativi americani

Come sono distribuiti i nativi americani in America Latina?

In America Latina ci sono attualmente 522 popoli indigeni che vanno dalla Patagonia al nord del Messico, passando per diverse aree geografiche come Guatemala, Bolivia, Perù ed Ecuador (zona andina), i cui aborigeni sono concentrati principalmente nella foresta amazzonica, e che rappresentano i paesi dove si trova il maggior numero di abitanti indigeni, con tribù come gli Aguarunas, gli Ashaninkas, i Bora, i Wampis, gli awajunes, gli ucayali.

Le popolazioni indigene costituiscono oltre l’8,5% della popolazione, la percentuale più alta di qualsiasi regione del mondo.

Ci sono più di 800 diverse popolazioni indigene che rappresentano un totale di quasi 45 milioni di uomini e donne. L’enorme diversità sociodemografica, territoriale e culturale di questa popolazione varia da migliaia di persone che vivono in grandi concentrazioni urbane come Città del Messico o Quito a circa 200 città che vivono in “isolamento volontario”, senza cioè relazioni con le società predominanti. 

Tradizioni e modi di vivere 

Nonostante siano molte e di diversa provenienza, le comunità indigene hanno caratteristiche di vita e cultura comuni.

Solitamente vivono in capanne di frasche e dormono su un’amaca tessuta con fibre che viene tesa da un albero all’altro. Non usano vestiti ma si adornano di splendide piume. Le capanne hanno un tetto spiovente e ciascun tetto declina verso l’esterno ed è costituito da un’intelaiatura di stecche ricoperte di foglie. Tra i pali di sostegno gli indios stendono le loro amache ed ogni famiglia vive in un settore del tetto dove ha il suo focolare, le sue suppellettili.

La tessitura delle amache, la raccolta e la filatura del cotone sono prerogative femminili. Le unioni sono regolate da una serie di leggi, che impediscono il matrimonio tra cugini paralleli mentre è permesso tra cugini incrociati. È conosciuto il matrimonio avuncolare (lo zio sposa la nipote), il levirato (la vedova sposa il fratello del marito) e il sororato (il vedovo sposa la sorella della moglie).

A causa della più frequente mortalità dei maschi, legata alle loro attività di caccia e di guerra, in molte tribù è diffusa la poligamia. La caccia è l’attività alla quale gli uomini partecipano con strumenti quali arco, frecce e l’arpione, anche se in alcuni casi e in questi ultimi anni hanno introdotto l’uso del fucile, proveniente dai contatti con la cultura occidentale.

Le nuove politiche di difesa contro lo sfruttamento e la soppressione dell’identità indigena

Come abbiamo visto, le popolazioni indigene hanno una cultura e tradizioni forti e ben consolidate che si perpetuano da secoli. Questo però non venne preso in considerazione dai coloni occidentali i quali si impadronirono dell’identità e delle terre abitate dagli indigeni e ne modificarono non solo gli usi ma anche lingua e religione.

Fin dai primi testi europei è stato riconosciuto un forte legame di questi popoli con la natura attraverso cui si raggiungeva un contatto anche con le figure religiose da loro adorate. Di fronte a ciò, però, il colone europeo eliminò qualsiasi loro elemento o segno per imporre la propria religione e ridurli in schiavitù.

Per gli Spagnoli, l’indio era l’individuo appartenente al gruppo inferiore e sottomesso, costituito dai discendenti della popolazione indigena. E di fatto i discendenti degli antichi abitanti delle terre americane sono cittadini discriminati: la povertà, la bassa scolarizzazione, la mortalità precoce, la scarsa partecipazione politica hanno tra le popolazioni indigene dei paesi latino-americani tassi molto più alti di quelli registrati tra Bianchi e Meticci.

I popoli indigeni spesso non hanno un riconoscimento formale delle loro terre, territori e risorse naturali, sono spesso gli ultimi a ricevere investimenti pubblici in servizi e infrastrutture di base e affrontano molteplici ostacoli per partecipare pienamente all’economia formale, ottenere l’accesso alla giustizia e farne parte dei processi politici e decisionali.

Questa eredità di disuguaglianza ed esclusione ha aumentato la vulnerabilità delle comunità indigene agli impatti dei cambiamenti climatici e ai rischi naturali come conseguenza di un’economia occidentale sfruttatrice di piantagioni di cacao, caffè, frutta. Da tempo assistiamo al continuo bruciare dell’Amazzonia per far spazio a coltivazioni sempre più estese con il conseguente genocidio degli abitanti. A partire dagli anni Ottanta, organismi di rappresentanza degli Indios hanno cominciato a partecipare a incontri internazionali sulle questioni ambientali e sullo sviluppo promossi dalla FAO e dall’UNESCO.

Tra le ultime politiche messe in atto in difesa dei popoli indigeni incontriamo nel 2007 la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni e nel 2016 la Dichiarazione americana sui Diritti dei Popoli Indigeni. Inoltre, la Banca Mondiale lavora con le popolazioni e i governi indigeni per garantire che i programmi di sviluppo globale riflettano le voci e le aspirazioni di queste comunità. 

Certo, questo non basta e si dovrebbe dar voce a questi popoli che da molto ormai urlano la loro volontà di essere riconosciuti, in primo luogo come persone che abitano questa Terra, che hanno pieni diritti e che scelgono, in alcuni casi, di vivere anche in isolamento da questa Europa che spesso distrugge e non unisce. 

di Roberta Gasbarrone

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