Tete, 4 maggio 2022
Pillole di cultura mozambicana: sua maestà la Capulana

Il 7 di Aprile è il Dia das Mulheres Moçambicanas, giorno della donna mozambicana.
È un giorno di festa nazionale, istituito in memoria di Josina Machel, la più importante rivoluzionaria mozambicana impegnata nella lotta di decolonizzazione e morta a soli 25 anni. È un data molto sentita nel Paese e per le strade si vedono gruppi di donne vestite di capulana, la stoffa africana molto colorata così caratteristica del continente, che si dirigono verso varie feste organizzate per l’occasione. In questo giorno, mi viene raccontato, sono gli uomini che cucinano e restano in casa mentre le mogli escono per festeggiare.

Sulla condizione della donna ci sarebbe da parlare moltissimo, ma oggi mi piacerebbe focalizzarmi sulla protagonista della moda di qui, appunto la capulana. Si tratta di un panno di circa due metri e mezzo per uno e mezzo, ma può essere di dimensioni differenti, con stampe solitamente molto colorate e dalle fantasie più varie: floreali, con figure di animali, astratte, geometriche, con effetto délavé, con volti di santi e personaggi importanti o immagini che rimandano alla tradizione africana.
La capulana è quell’indumento adatto un po’ per tutte le occasioni che la donna mozambicana riesce ad indossare in mille modi: quello più comune è di portarla sopra i pantaloni (che incredibilmente moltissime donne indossano sotto a questi panni, incuranti del calore) semplicemente annodata in vita un po’ a mo’ di pareo, oppure portata come una stola o ancora annodata sulla testa a metà tra un turbante e un copricapo. Di solito quest’ultimo tipo di utilizzo è più legato a situazioni formali o a momenti in cui si vuole richiamare la tradizione, mentre sarà impossibile passeggiare per una strada del Mozambico senza vedere almeno una donna avvolta nella sua capulana.

E che dire del comparto domestico: via libera a tovaglie, tovagliette, runner, copricuscini, copriletti, borse, borselli, porta-computer, porta-borracce,…dove c’è tessuto può esserci una capulana!
Un livello superiore è quello di utilizzare la stoffa per cucire dei vestiti, qualsiasi tipo di vestito. Si possono cucire gli abiti in casa, ma è comune affidarsi a dei sarti che in tempi molto brevi e a prezzi modesti realizzano cose incredibili (e su misura). A differenza dell’Europa qui i sarti sono quasi tutti uomini, e lavorano all’aperto con delle vecchissime Singer a pedale che starebbero bene in un museo. Si possono incontrare in piccole bottegucce dai tetti di lamiera o all’interno dei grandi mercati, tutti assieme uno dopo l’altro in una sezione a loro dedicata.

Chi vorrà comprare una capulana non dovrà cercare a lungo visto che sono vendute praticamente ovunque, esposte tutte assieme nei negozietti specializzati regalando un bellissimo colpo d’occhio. Se ne trovano di diverse qualità, cerate e non cerate (non abbiate paura delle capulane cerate, la cera è utilizzata per proteggere la stoffa dal sole e dall’usura, dopo un buon lavaggio la cera si scioglie e la stoffa torna morbida), di diverso prezzo.
È facile per noi occidentali, circondate da questa abbondanza di stoffe e colori, cadere nel pericoloso circolo dell’acquisto compulsivo di capulane, fomentate dalle bellissime bacheche di pinterest da cui prendere ispirazione, per la gioia dei sarti che grazie al nostro gusto per l’esotico fanno quattrini.

Una perplessità che mi è sorta è se questo nostro (di noi donne europee) desiderio di realizzare vestiti con queste stoffe sia un tipo di appropriazione culturale (ossia, insegna Wikipedia, l’adozione o l’utilizzazione in maniera inappropriata o inconsapevole di elementi di una cultura da parte dei membri di una cultura “dominante”, in maniera irrispettosa e andando a costituire una forma di oppressione e di spoliazione. La cultura “minoritaria” si troverebbe così spogliata della sua identità, o ridotta a una semplice caricatura razzista).
Apparentemente non è così, sembra che le donne di qui siano contente che la loro moda, e quindi la loro cultura, sia apprezzata e sia abbracciata anche dalle bianche, però è indubbio che per noi diventi molto spesso qualcosa di più simile ad un souvenir, sminuendone il valore culturale e identitario.
La verità è che alla base c’è una curiosità genuina per la cultura e un tentativo un po’ inconscio e magari maldestro di sposare i costumi (nel vero senso della parola) locali, di sentirsi un po’ di più parte di questo Paese.
di Elena Mazzalai