Pillole di linguistica: il sessismo linguistico in italiano, spagnolo e portoghese

Per la rubrica di approfondimento linguistico, in collaborazione con Pillole di linguistica ci dedicheremo ad approfondire in chiave linguistica alcuni concetti chiave dello studio della linguistica, a cura di Jusy di Pillole di linguistica, a cui seguirà un approfondimento del tema nel mondo lusofono e ispanofono curato da Lusofilia.

L’argomento dell’articolo di oggi è il sessismo linguistico, con un approfondimento su alcuni esempi di sessismo linguistico all’interno dello spagnolo e del portoghese.

Alla base della scelta dell’argomento per questo approfondimento della rubrica c’è la voglia di trasmettere a chi sta leggendo questo articolo (e che non ha una formazione linguistica) quanto si nasconda di una cultura dietro la lingua che utilizza.

Così i nostri “occhi da linguiste” vi condurranno in un viaggio all’interno delle lingue che parliamo e che studiamo per cercare di capire le “sfumature sessiste” che si nascondono dietro ai modi di dire, alle espressioni che si utilizzano e alle parole che si scelgono.

Ma cosa intendiamo esattamente per sessismo linguistico?

In una prospettiva essenzialista, la lingua riflette la cultura e la società e, in una società profondamente patriarcale, la lingua riflette le discriminazioni di genere. Discriminazione che possiamo trovare in molti aspetti di una lingua.

Tra tutti, una delle forme di discriminazione passa sicuramente attraverso l’uso del genere grammaticale maschile per designare sia uomini sia donne. Quante volte tu donna ti sei domandata ma perché devo usare qua un maschile sebbene sia donna solo perché è una formula generalizzata?!!

Anche il lessico è fin troppo pieno di esempi di discriminazioni di genere attraverso il linguaggio.

A proposito di sessismo linguistico tramite le parole, da menzionare è l’alternanza di genere e di significato. Difatti, in alcune parole, l’alternanza di genere dà luogo anche a un’alternanza di significato. Ciò significa che molte parole che derivano da una stessa base hanno un diverso significato a seconda che lo si declini al maschile e al femminile (come nel caso di banco/banca o foglio/foglia).

Ma se ci fate caso, le alternanze di genere causano, non solo alternanze di significato, bensì possono causare anche discriminazioni di genere. Questo è il caso di parole e locuzioni come “un buon uomo” e “una buona donna”. Laddove la locuzione al maschile fa riferimento a un uomo buono, mentre la locuzione al femminile si riferisce a una donna di facili costumi. E ce ne sono tantissimi di questi esempi: un uomo di strada e una donna di strada, un uomo allegro e una donna allegra o cortigiano e cortigiana.

Uno dei primi esempi che possiamo fare è sicuramente quello di signora/signorina. A livello di significato, la differenza di uso tra le due parole è legata ad una distinzione relativa allo stato sociale, cosa che per gli uomini non è presente. È il caso di ‘signora’ usato per una donna sposata e ‘signorina’ per una donna nubile, laddove per gli uomini non c’è distinzione (lo stesso lo troviamo in francese: madame e mademoiselle e in maschile solo monsieur). Un’emancipazione femminile che passa molto anche per la lingua, ha fatto sì che negli ultimi anni la formula signorina sia sempre più considerata stigmatizzante (ovvero discriminante) e quindi ormai decisamente da evitare. Basta con questo signorina!!!

Anche per quanto riguarda i nomi di professione spesso vengono usati quelli declinati al maschile anche per le donne. E’ di pochi giorni fa – luglio 2022 – la notizia che il Senato ha bocciato l’uso del femminile per le cariche istituzionali, al contrario, in Francia, l’Académie Française ha ufficializzato il femminile di tali forme nel 2019. 

Per ovviare a queste disparità di genere, ci si impegna sempre di più nell’uso di una lingua inclusiva che eviti tali discriminazioni. Perché, infondo, il cambiamento passa anche attraverso la lingua. Infatti, da una prospettiva costruttivista, è la lingua che crea la società. Tuttavia, a me piace pensare che società e lingua vadano di pari passo e l’una contribuisce a cambiare l’altra.

Era il 1987 quando Alma Sabatini pubblicò “Sessismo nella lingua italiana: raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, un primo passo verso la consapevolezza e che è diventato un modello per le successive linee guida.

Sabatini, insegnante e attivista femminista, dimostrò che lo spazio linguistico era saturato (e lo è ancora) dal genere maschile, usato con presunto valore neutro e universale. Sabatini lo dimostra attraverso i molti esempi trovati nella stampa. Le donne erano sempre ricondotte a immaginari stereotipici legati alla cura familiare, alla gestione della casa, bellezza, moda, sensualità, messe in un rapporto di subordinazione al maschile

Fortunatamente, qualcosa è cambiato nella percezione della necessità di un linguaggio sempre più inclusivo dal 1987 grazie al suo saggio, anche se la strada è ancora lunga.

Oggi c’è molta più consapevolezza e molte più ricerche. Le raccomandazioni di Sabatini possono essere ancora valide, ad esempio, evitare il maschile neutro (il cosiddetto maschile sovraesteso) o evitare il titolo ‘signora’ quando può essere sostituito dal titolo professionale. 

Per un futuro dell’italiano sempre meno maschilista, citiamo un bellissimo monologo dell’attrice italiana Paola Cortellesi che ha saputo presentarci, con la sua ironia consapevolissima, l’infinita di espressioni discriminanti che l’italiano ha collezionato nel tempo per discriminare la donna con le parole.

Ovviamente, non ci sono solo in italiano esempi di questo tipo. Sia lo spagnolo che il portoghese ne sono fin troppo ricchi.

Partiamo dalla spagnolo. In particolar modo, si citano alcuni esempi delle tantissime parole che nel passaggio al genere femminile diventano sinonimo di donna dai facili costumi.

Scegliendone solo alcune come esempi (e vi assicuro che la scelta era decisamente ampia) andiamo a vedere come il femminile diventa subito peggiorativo.

Iniziamo da zorro e zorra. Al maschile indica una persona astuta e furba e al femminile PROSTITUTA.

Continuiamo con cerdo e cerda. Il cerco è il maiale (sia maschio che femmina) e al femminile PROSTITUTA.

Altro esempio è perro e perra. Il perro è ovviamente il cane e la perra ovviamente PROSTITUTA.

E continuando con gli animali il gallo è un animale simbolo di valore e vigore, mentre la gallina è una donna sciocca.

Possiamo continuare con fulano e fulana. Se con l’espressione fulano indichiamo un tizio, il Caio della situazione di cui non conosciamo il nome, fulana è (indovinate) sinonimo di PROSTITUTA.

E poi. Se un sargento è un ufficiale militare di grado superiore, il sergente, la sargenta non è una prostituta, ma comunque niente di positivo. Indica una donna corpulenta e mascolina.

Allo stesso tempo, anche il portoghese non si risparmia in materia di discriminazione di genere.

Partiamo da una discriminazione comune a portoghese, spagnolo e italiano. Partiamo da una domanda che sorge spontanea:

“perché um homem casado è um marido e uma mulher casada é molto spesso una mulher e sempre meno una esposa

La spiegazione che ci viene offerta da alcuni dizionari è etimologica. Il corrispettivo femminile di marido sarebbe mulher e non esposa, perché mulher deriva dal termine polisemico latino “muliere-“, che significa “donna sposata, moglie, donna vergine”, mentre il termine esposa deriva dal latino sponsa ed indica una “donna fidanzata, promessa sposa”.

Dietro queste definizione etimologiche, si può notare la diversa considerazione sociale che ha visto per moltissimi secoli una diversa inclinazione di genere tra l’uomo, più adatto alla vita pubblica e al lavoro, e la donna, la quale si doveva dedicare ai lavori domestici e alla vita coniugale.

In tal senso, voglio ricordare le parole dello psicologo brasiliano Mathias Vaiano Glens nel suo articolo “Por que chamamos o homem de marido e a mulher de mulher?”/ “Perché chiamano l’uomo sposato marito e la donna sposata moglie?

«Porque ser marido é apenas uma parte de um todo maior que é ser homem e (…) a cultura que oprime as mulheres não deseja que uma esposa seja apenas uma parte de um todo muito maior que é ser mulher. A cultura machista quer reduzir as mulheres à condição de esposa. Por isso transformou “mulher” em sinônimo de “mulher casada”».

(A mio parere, la traduzione del titolo dell’articolo di Glens fa perdere molto al senso, perché si perde il gioco di parole tra mulher-donna e mulher-moglie. Se pensi che possa funzionare anche non tradotto per me è meglio)

«Perché essere un marito è solo una parte di un tutto, più grande che è essere uomo e (…) la cultura, che opprime le donne, non vuole che una moglie sia solo un parte di un tutto, più grande che è essere donna. La cultura sessista vuole ridurre la donna alla condizione di moglie. Per questo “mulher” si è trasformato in sinonimo di “donna sposata, moglie”».

È proprio per questo che la lingua è cultura e la cultura è lingua. I pregiudizi più profondi e radicati traspaiono da tante manifestazioni culturali, una tra tutte la lingua. Saperli riconoscere, analizzare e limitare sono alcune delle tante missioni che ha la linguistica contemporanea deve affrontare.

di Jusy de Simone (per la parte di approfondimento linguistico)

di Veronica Pietronzini (per la parte di approfondimento sullo spagnolo e il portoghese)

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