Per la rubrica di approfondimento linguistico, in collaborazione con Pillole di linguistica ci dedicheremo ad approfondire in chiave linguistica alcuni concetti chiave dello studio della linguistica, a cura di Jusy di Pillole di linguistica, a cui seguirà un approfondimento del tema nel mondo lusofono e ispanofono curato da Lusofilia.
Oggi ci dedichiamo alla lingua franca.
Che cos’è una lingua franca? Forse la lingua dei Franchi? Non esattamente

Il termine lingua franca è il calco della locuzione araba lisān al-faranǵ «lingua europea» o lisān al-ifranǵ «lingua degli Europei» (gli Arabi con il termine Farangia designarono non solo la Francia ma anche il resto dell’Europa esclusa la Grecia).
Questa espressione prende il nome dalla lingua franca mediterranea o sabir, lingua usata per molti secoli in tutto il bacino del Mediterraneo per i rapporti di commercio tra Europei, Arabi e Turchi, costituita da un lessico prevalentemente italiano e spagnolo con poche voci arabe, e da un sistema grammaticale estremamente semplificato.

Con l’espressione lingua franca si intende dunque una lingua usata come strumento di comunicazione tra parlanti che hanno lingue materne diverse. Si parla anche, con lo stesso senso, di lingua veicolare, perché facilita la comunicazione tra persone.
Mentre in passato la lingua franca era spesso utilizzata nel commercio e nella navigazione marittima, oggi è utilizzata principalmente nella comunicazione internazionale e nella diplomazia, ma non solo.
Con l’avvento della globalizzazione, l’inglese è diventato la lingua franca più utilizzata in tutto il mondo. Come l’inglese è considerato la lingua franca degli affari e della tecnologia, lo spagnolo è ampiamente utilizzato in America Latina e in alcune parti degli Stati Uniti.
Oggi, molte organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Unione Europea, utilizzano una lingua franca per la comunicazione tra i loro membri. Ciò significa che i documenti ufficiali, le conferenze e le riunioni sono spesso condotti in una lingua comune, come l’inglese o il francese, per assicurare che tutti i partecipanti possano comprendere e partecipare alla discussione.
Altri esempi di lingue franche sono il francese, il portoghese e l’arabo.
L’arabo, ad esempio, rientra nelle lingue franche affermatesi storicamente per il culto religioso, infatti, è stato lingua dell’islamismo, così come il latino fu lingua del cattolicesimo.

Nel Settecento, accanto al latino che nel frattempo era diventato la lingua dell’istruzione, c’era anche il francese, almeno negli impieghi diplomatici (non a caso il Settecento è stato un secolo in cui la Francia era in piena espansione).
E il portoghese?
Nel corso del XVI, il Portogallo controllava un importante e vasto impero coloniale, controllando territorio che avevano una centralità commercale fondamentale, soprattuto per le relazioni tra Europa/Asia/Africa. Proprio per questo, nel 500 il portoghese diventa la lingua franca fondamentale per gli scambi commerciali. Il portoghese veniva utilizzato non solo dall’amministrazione coloniale e per le attività commerciali, ma anche per la comunicazione tra gli ufficiali locali e gli europei di tutte le nazionalità.
Oggi questo lo possiamo notare in comunità in Sri Lanka, Indonesia e India che hanno preservato le loro lingue anche dopo il loro isolamento dal Portogallo e si sono sviluppate nei secoli in vari Creoli portoghesi.

di Jusy de Simone (per la parte di approfondimento linguistico)
di Veronica Pietronzini (per la parte di approfondimento sul portoghese)